Carlo Sonzini nacque a Malnate (Va) il 24 giugno 1878, ultimo di cinque figli di Giuseppe e Carolina Buzzi. Dopo le scuole elementari frequentò le prime tre classi ginnasiali a Milano presso l’oratorio di S. Carlo, mentre era ospite del sacerdote assistente della chiesa di S. Maria della Vittoria. Entrò poi nel seminario di S. Pietro martire a Seveso, dove continuò e concluse il ginnasio.
Dal 1894 al 1897 stette nel seminario liceale arcivescovile di Monza; uno dei suoi professori era il servo di Dio mons. Luigi Talamoni, eccezionale figura di prete e di educatore, che lasciò un forte segno nella sua anima, perché uomo di Dio, tutto consacrato alla verità e al bene: fu così anche di lui. Nel 1897 passò al seminario teologico di Milano, e venne ordinato sacerdote nel duomo di Milano il 1 giugno 1901 dall’arcivescovo beato cardinale Andrea Carlo Ferrari.
Docente
La prima sua destinazione fu il Collegio De Filippi ad Arona in qualità di vicerettore e insegnante di religione. Il 9 novembre entrò a far parte degli Oblati di S. Carlo. Di Don Carlo Sonzini scriverà P. Enrico Motta: “Vice rettore ad Arona: zelo, indefessità, deferenza al Superiore, cordialità coi colleghi; affascina gli alunni”.
Nel 1909 don Carlo venne trasferito nel seminario ginnasiale di Seveso come vice rettore e insegnante. Mons. Carlo Confalonieri, segretario di Pio Xl, dirà il 25 luglio 1926 di essere in gran parte debitore della propria spirituale formazione al suo ex vicerettore e professore don Sonzini per quello spirito di fede che egli sempre sapeva trasfondere nell’animo dei suoi allievi. Fin dai primi anni di scuola don Carlo aveva manifestato rara intelligenza e chiara vocazione nello studio, raccogliendo buoni frutti. Ai giovani del collegio e ai chierici del seminario apriva il suo grande cuore. Anche chi riceveva da lui una correzione aveva l’impressione di essere da lui ben voluto. Suo era il metodo educativo di S. Giovanni Bosco.
Canonico a Varese
Il 1° gennaio 1914 don Carlo venne a Varese quale canonico teologo della basilica di S. Vittore. La ridente cittadina era in pieno sviluppo commerciale e turistico, ma risentiva delle vicende difficili del tempo, in campo religioso e civile, nazionale e internazionale. Don Carlo incominciò subito il suo lavoro sacerdotale con equilibrio umano, spirito di fede e grande passione pastorale; la gente fece presto a conoscerlo e a stimarlo.
La sua attività apostolica cominciò con la fondazione di un corso superiore di religione per signore e signorine, assai contrastato dal mondo laico e massone. A poco a poco, ma con decisione, egli diventò la guida del mondo femminile locale, delle ragazze, delle donne, delle religiose. Il suo confessionale fu subito molto affollato da penitenti di tutte le età. Qui le anime gli si aprivano in sincerità ed egli aveva modo di conoscere, di capire, di aiutare. Egli dava Dio, e chi cercava Dio era attratto da suoi consigli a fortemente volere. E avviava alla piena consacrazione a Dio anime generose da lui guidate.
Don Sonzini predicava bene: ogni suo sermone era una lezione attentamente preparata. Dal pulpito, ma più ancora dal confessionale, si sprigionava quello che un dono dello Spirito Santo, la penetrazione dei cuori.
Apostolo della Stampa
All’inizio del 1914 nasceva a Varese il settimanale cattolico Luce!, al quale lo stesso don Sonzini subito collaborò; ne divenne direttore l’anno seguente per decisione dell’arcivescovo sostituendo don Carlo Rudoni, chiamato alle armi. In lui il sacerdote e il giornalista non erano mai divisi.
“Ci sforzeremo”, scriveva, “di essere il meglio possibile inconfutabili araldi del pensiero cattolico”. Compiva il suo lavoro con regolarità esasperante. Sentiva questo, suo impegno, assunto per obbedienza, come un’autentica missione non inferiore a quella strettamente sacerdotale. “Il giornalista cattolico deve essere apostolo e come tale deve votarsi alla causa di Dio e delle anime in perfetta dedizione e immolazione”. Era un giornalista completo: “Il giornale nostro non si deve occupare soltanto della vita religiosa, ma anche di quella civile e di tutte le questioni interessanti la prosperità e l’avvenire dei nostri paesi”.
Nella storia nazionale del lavoro dovrebbe trovare posto il nome di don Carlo Sonzini, difensore delle classi lavoratrici, pronto sempre a levare la sua voce chiara e forte a favore della donna, per una sua costante rielevazione. Coraggiosamente militante, don Carlo fu un grande moralizzatore. Combattè fortemente ogni tipo di malcostume, dalla moda alla pornografia, dalla bestemmia al ballo, agli spettacoli scandalosi. Operò ardentemente per l’istruzione religiosa nelle scuole, per il ritorno del Crocifisso nelle aule, per la recita del padre nostro degli alunni, in difesa della stampa cattolica, delle iniziative a favore del prossimo bisognoso. Don Sonzini ebbe una grande prudenza giornalistica e sacerdotale; godeva simpatie anche presso gli avversari. Egli combatteva gli errori, non le persone. La carità di Cristo era la luce che rischiarava costantemente il suo faticoso cammino.
La vita del Luce! si consolidò così che si arrivò, benché con tante difficoltà, alla fondazione della Tipografia dell’ Addolorata, nel 1918, che don Sonzini legò poi al seminario arcivescovile di Venegono.
La sua preparazione, le sue ricche esperienze giornalistiche fecero sì che l’arcivescovo di Milano cardinale Eugenio Tosi, nel marzo 1926, affidasse a don Sonzini un incarico molto pesante: essere suo rappresentante nel quotidiano cattolico L’Italia, non soddisfacente nel suo andamento, anche per il riassetto della sua barcollante situazione finanziaria. Missione importante e delicata, che costò moltissimo a don Carlo. Il quale, nel gennaio 1927, anche per motivi di salute, pregava l’arcivescovo di dispensarlo dall’incarico affidatogli.
“Un solo pensiero mi conforta in questo momento: quello di avere agito in ogni occasione mosso unicamente dall’impulso della coscienza e dall’amore che porto a V. E,. nella cui persona vedo e sento di onorare il Supremo Pastore Gesù Cristo. Avessi potuto continuare l’opera mia sino alla fine”.
Nella tipografia del “Luce!” i dipendenti respiravano un’aria di famiglia. Don Sonzini non era solo direttore, ma anche padre e operaio tra i suoi operai, da lui bene scelti, e sapeva badare ad ogni loro necessità materiale e spirituale. Dava tutto quanto era loro dovuto, e si interessava delle rispettive famiglie, della salute e del crescere dei figli. Con prontezza e discrezione li sosteneva con aiuto concreto nei momenti del bisogno; sapeva con riserbo delicato fare i richiami opportuni; nessuno mai venne licenziato.
Ogni anno don Sonzini organizzava a sue spese gli esercizi spirituali, ai quali ognuno era libero di partecipare. Tra i suoi operai, che sapevano di lavorare per una buona causa, ci furono parecchie vocazioni sacerdotali. Davanti all’altare sul quale don Sonzini celebrava i suoi 25 anni di sacerdozio, c’erano i suoi dodici operai; i padrini della S. Messa solenne erano due dei suoi collaboratori.
Apostolo della Donna
A Varese, presso l’orfanotrofio dell’Addolorata, fondato e tenuto dalle Pie Signore di Nazareth, c’era l’oratorio femminile festivo, frequentato anche dalle domestiche, per lo più molto giovani. La domenica pomeriggio don Sonzini vi si recava, e le incontrava, ascoltandone i non pochi problemi. Succedevano cose molto gravi: c’erano domestiche sedotte, abbandonate, che arrivavano anche al suicidio.
Don Carlo aveva già dato vita ad una Associazione di Santa Zita, per le domestiche, affidandole alle Suore della Riparazione; ora però si imponeva una valida opera per soccorrere le giovani vittime di queste insidie e per aiutare le altre a non cadere. Don Sonzini pensò ad una “Casa per le domestiche” che riuscì ad avviare nel 1934 acquistando un vecchio edificio che provvide subito a ben sistemare, e che intitolò a S. Giuseppe come protettore, senza scoraggiarsi per ostacoli ed incomprensioni. Vi vennero accolte le giovani in arrivo per trovare un sicuro posto di lavoro. Furono promosse iniziative varie per la loro formazione religiosa e di lavoro; si usò una particolare attenzione ai casi delicati.
Il grosso problema di giovani donne capaci di provvedere al funzionamento della Casa e al servizio delle ospiti non era di facile soluzione; don Sonzini arrivò gradatamente alla fondazione di una famiglia religiosa, le Ancelle di S. Giuseppe, eretta in congregazione religiosa di diritto diocesano il 21 novembre 1951. La Casa S. Giuseppe fu subito conosciuta e apprezzata; in numerosi casi trepidi operò tanto bene.
Lo sviluppo industriale fece sì che diminuissero le domestiche e che a Varese arrivassero giovani operaie le quali nella Casa, i cui trenta posti erano sempre occupati, trovarono sicura accoglienza e assistenza. L’amore paterno di don Sonzini lasciò un segno profondo in parecchie di queste operaie; egli le seguiva anche quando tornavano alle loro case; tra di esse fiorirono vocazioni religiose.
La carità di don Carlo, con la collaborazione delle sue Ancelle, fu molto viva negli anni difficili della guerra, ospitando ebrei ricercati, gli sfollati dalle città bombardate, i profughi dalle località giuliane.
Due altri delicatissimi problemi addolorarono il grande cuore di don Sonzini. Dove e come finivano le anziane domestiche e le vecchie parenti di sacerdoti morti in povertà? Per loro non c’erano norme previdenziali. Per gli stessi sacerdoti vecchi, ammalati, poveri, cosa si faceva? Ancora niente o troppo poco. In modo si direbbe miracoloso il Signore aiutò don Carlo ad avviare queste opere provvidenziali.
Don Carlo Sonzini, nominato prelato domestico di Sua Santità nel 1942, nel 1951 compiva 50 anni di sacerdozio. A Varese si fece festa a questo prete che in ogni istante della sua sacra, laboriosissima esistenza è stato a disposizione del prossimo, impegnato costantemente ad educare, ad amare, a salvare anime.
Mons. Sonzini continuava a lavorare, pur avendo un fisico tutt’altro che forte, senza dar retta ai medici che lo esortavano a risparmiarsi. “Mi riposerò in Paradiso. Qui ci sono anime da salvare”. C’erano le opere di carità da mandare avanti bene. Formare le sue Ancelle era per lui un impegno tale da non essere mai posposto agli altri. Nelle sue tenerissime, paterne attenzioni si poteva avvertire un grande fuoco: il desiderio, l’ansia di trasmettere in tali anime tutto il meglio di ogni virtù nell’abbagliante luce dell’amore di Dio.
Nell’agosto 1952 Monsignore si ammalò, e la sua salute progressivamente peggiorò fino alla morte avvenuta il 5 febbraio 1957. In quegli anni di sofferenza lucida e paziente egli fu sempre padre e maestro, abbandonandosi filialmente nelle mani di Gesù e di Maria. “Un pensiero mi conforta e mi solleva: quello della Mamma celeste che sento di amare tanto e vorrei amare infinitamente di più. Ella mi ha sempre tenuto unito al suo Gesù; Ella fu sempre la ragione della mia speranza”. Così aveva scritto nel suo testamento spirituale.
Tutta la città manifestò il suo dolore per la morte di questo sacerdote apostolo della Verità e della carità; il funerale fu veramente una apoteosi. Alla morte di mons. Sonzini si ebbero numerose attestazioni della sua esemplarità sacerdotale e della convinzione di avere in Cielo un nuovo buon protettore.
Fu considerato santo alla sua morte e la fama della sua santità non venne mai meno negli anni successivi: ricordiamo la traslazione della sua salma dal cimitero di Varese alla cappella delle Pie Ancelle di S. Giuseppe, avvenuta nel 1980, e la commemorazione del trentesimo anniversario della sua morte.
“Egli” ‑scrisse il vescovo mons. Luigi Oldani‑ “non dimenticò mai nemmeno un istante di essere sacerdote e di dover essere un sacerdote santo”.
Don Carlo Sonzini si presenta come un modello che sprona i suoi confratelli ad una piena corrispondenza alla propria grande vocazione. Egli fu davvero un uomo di Dio e questa chiara coscienza della sua vocazione ne spiega tutta la vita e le opere. Dell’uomo di Dio ebbe la fede, una fede robusta ed illuminata di cui fu ad un tempo maestro ed esempio. La fede gli diede il sorriso del santo, la fortezza dell’apostolo, la costanza del confessore .
È viva la sua interiorità. “La volontà di Dio non sarà la nostra, egli scrisse, se non ci studieremo profondamente, se non rientreremo con molta serietà e buon volere nel santuario della nostra coscienza, nell’intimità dell’anima nostra, per vedere quali siano le intenzioni, i pensieri, i sentimenti che ci muovono, ci ispirano e ci determinano nel nostro operare”.
La preghiera lo assorbiva totalmente. La sua adesione al colloquio con Dio era visibile esteriormente. Forse questo è il segreto profondo della sua vita sacerdotale.
Egli fu sacerdote a tempo pieno: così che non solo al giornale ha dedicato tutte le sue energie, ma in ogni impegno pastorale vi si buttava con tutte le sue forze di cuore e di mente. Fu un prete che riuscì a non cercare mai il tempo libero: senti che il suo tempo era tutto assorbito dalle esigenze dell’amore di Cristo, amore sommo, amore unico.
Nella sua vita ha dominato uno spirito sempre proteso al servizio della Verità e al servizio dei fratelli. Ecco la predicazione, la instancabile catechesi, l’impegno sacerdotale di animare cristianamente le vicende del suo tempo. Il suo spirito di carità lo ha spinto non soltanto a dedicarsi a tantissime opere, ma soprattutto lo ha portato a vivere l’attenzione agli ultimi, a coloro che nel suo tempo erano i più abbandonati, come le domestiche, e a dar vita per loro a iniziative geniali, veramente all’altezza delle esigenze drammatiche di quell’epoca.
La ‘diocesanità’, come rileva il cardinale Martini, “atteggiamento fondamentale della sua vita”. È in lui un particolare attaccamento al Santo Padre, al cardinale arcivescovo, e un vivo interesse per i sacerdoti. “In don Sonzini e da don Sonzini”, scrisse il cardinale Eugenio Tosi, “trovai le prove più sincere e più generose della fedeltà e della amorosa cooperazione al proprio vescovo”.
La fisionomia di mons. Sonzini è fissata in una caratteristica di dolcezza, che è sublimazione della carità, che proviene da una pace interiore profonda che ha radici in una religiosità autentica. Don Sonzini era veramente buono. Era la bontà a dare l’impronta, in qualunque occasione, al suo dire e al suo operare. Molte voci che testimoniano la santità della vita di mons. Sonzini sono state raccolte dalle sue figlie spirituali, le Ancelle di S. Giuseppe di Varese. Sono voci di vescovi, di sacerdoti, di religiose; di persone modeste e di persone qualificate; di ex operai della Tipografia della Addolorata di Varese. Questo, sacerdote, glorificato dalla Chiesa, potrà essere ancora, a tutti, forte esortazione a vivere nobilmente nella fede e nella carità.
(estratto da “Civiltà Ambrosiana” 1989, N. 3)